Posts Tagged ‘tilde minasi’

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Inaugurata la casetta in legno per i familiari dei detenuti

Maggio 13, 2010

di Noemi Azzurra Barbuto

È una piccola e confortevole casetta in legno, costruita all’interno della casa circondariale di San Pietro a Reggio Calabria e dotata di giochi, la struttura destinata ad accogliere i familiari dei detenuti in visita, inaugurata ieri mattina e benedetta dall’arcivescovo Monsignor Vittorio Mondello.

Hakuna Matata, questo il nome della casa, porrà finalmente fine alle estenuanti attese dei familiari fuori dai cancelli del carcere esposti alle intemperie, provvedendo in particolare ad attutire l’impatto traumatico dei bambini con il ferroso edificio carcerario, come ha sottolineato l’assessore comunale alle politiche sociali Tilde Minasi.

Si tratta di un piccolo mondo a misura di bambino, alla cui organizzazione e gestione provvederà l’associazione contro il disagio sociale “Il Ponte”, con una serie di interventi, che vanno dal dialogo all’orientamento al lavoro, rivolti ai detenuti e alle loro famiglie.

«Una prova di attenzione verso la persona umana», l’ha definita l’arcivescovo, la colorata struttura, realizzata con il contributo dell’amministrazione comunale di Reggio Calabria e dell’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti, che ha fortemente sostenuto il progetto, è stata costruita «con la manodopera dei detenuti che hanno lavorato duramente notte e giorno», ha spiegato la direttrice del carcere Maria Carmela Longo.

Le pareti, affrescate dagli studenti dell’accademia delle Belle Arti di Reggio Calabria con immagini che riprendono scene del celebre film della Walt Disney “Il re leone”, vogliono ricordare il messaggio del film stesso: non conta quanto sia pesante il passato che ci portiamo dietro, occorre concentrarsi sul presente, guardando al futuro con ottimismo.

Dopo la benedizione del locale, si è tenuta una conferenza, sempre all’interno della casa circondariale, per presentare la terza relazione annuale dell’Ufficio del Garante.

Appuntamento ormai tradizionale «per riflettere su ciò che abbiamo fatto e dove vogliamo andare per dare maggiore dignità ai detenuti», ha spiegato Longo.

Ha illustrato l’andamento dell’attività del suo ufficio ma soprattutto l’atrocità del sistema carcerario attuale il garante Giuseppe Tuccio.

Una situazione di perenne emergenza, secondo Tuccio, alla quale si cerca erroneamente di fare fronte mediante interventi maldestri che derogano al principio rieducativo che sta alla base del sistema penitenziario.

Sarebbe piuttosto opportuna una riforma organica del sistema legale delle pene, ma «non resta che constatare come la stagione delle riforme strutturali tarda davvero ad apparire sull’orizzonte politico del nostro Paese», ha concluso Tuccio.

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Donare il sangue: un gesto d’amore che salva la vita

gennaio 13, 2010

di Noemi Azzurra Barbuto

Solo donando se stessi si dona veramente. Lo sanno bene i membri dell’Associazione Volontari Italiani Sangue (Avis), che anche questa epifania si sono dati appuntamento nell’auditorium San Paolo con i loro bambini, questa volta non per dare, bensì per ricevere dei piccoli doni, consegnati dalla befana in persona.

Un’occasione gioiosa, ma anche seria, nella quale è stato fatto un bilancio positivo dell’anno appena trascorso senza trascurare di porre all’attenzione dei presenti le numerose difficoltà che ancora oggi, nonostante aumenti progressivamente il numero dei donatori, costituiscono inciampo lungo il percorso che porta all’autosufficienza, svincolando la nostra regione all’obbligo di importare sangue da fuori.

Se, da un lato, le donazioni aumentano (nel 2009 la sezione comunale ha fornito 8.000 sacche, circa l’80% del sangue di cui ha disposto l’azienda ospedaliera); dall’altro, cresce anche la domanda trasfusionale nella città di Reggio, soprattutto in vista dell’istituzione del reparto di cardiochirurgia, come ha sottolineato il presidente della sezione comunale dell’Avis Mimmo Nisticò.

Dunque, ha affermato Nisticò, «è il momento di fare un ulteriore sforzo e di procedere verso una regolamentazione migliore». Ne sono convinti anche Giuseppe Bresolin, direttore del Centro Trasfusionale dell’ospedale reggino, e Paolo Marcianò, presidente dall’Avis regionale.

Quest’ultimo ha posto l’accento sul mancato recepimento da parte della Regione dei regolamenti nazionali inerenti al servizio trasfusionale, suscettibile di creare gravi ripercussioni in ambito sanitario.

«Donare è un dovere, non tutti lo sentono, quindi bisogna insegnarlo», ha affermato Enzo Romeo, segretario dell’Avis provinciale, che ha lodato l’opera di sensibilizzazione svolta dagli insegnanti all’interno delle scuole. Secondo il direttore generale dell’azienda ospedaliera, Mario Santagati, che ha augurato ai numerosi bambini presenti di essere dei futuri donatori di sangue, «la formazione dei giovani è il presupposto fondamentale per incamminarci verso l’autosufficienza».

Anche il consigliere regionale Giovanni Nucera e l’assessore comunale Tilde Minasi hanno calcato l’esigenza di coinvolgere i giovani attraverso l’educazione ed il buon esempio, affinché cresca in loro il desiderio di dare, anzi di «farsi dono per gli altri».

Non si tratta soltanto di una regola di buona cittadinanza, piuttosto è questo il significato del sacrificio cristiano, secondo l’arcivescovo Monsignor Vittorio Mondello, il quale ha affermato che «Gesù si è donato a noi e noi dobbiamo imparare a diventare a nostra volta un dono d’amore per gli altri».

E donare il proprio sangue a chiunque ne abbia bisogno non è altro che donare se stessi.

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Allarme dell’UIC: rischio chiusura

novembre 30, 2009

di Noemi Azzurra Barbuto

Dagli effetti devastanti della crisi economica globale siamo stati colpiti tutti, ma soprattutto le categorie sociali che necessitano maggiormente degli aiuti pubblici, tra queste i non vedenti, penalizzati dai numerosi tagli governativi, in particolare al servizio civile.

E’ questo ciò che emerso nel corso della seconda ed ultima assemblea annuale dell’Unione Italiana Ciechi (U.I.C), tenutasi sabato 28 novembre, alle ore 10, al Piccolo Auditorium al fine di stabilire gli obiettivi del prossimo anno, che si annuncia non facile.

Infatti, a causa della mancanza di risorse economiche, come ha affermato con rammarico Armando Paviglianiti, presidente provinciale dell’U.I.C., «l’Unione stessa rischia l’estinzione». Tale situazione di emergenza impone una scelta programmatica: «dare spazio alla priorità».

Dunque, «poche cose ma buone». E’ con questo slogan che il presidente provinciale ha anticipato il programma del 2010, in cui sono inserite anche la realizzazione di una struttura polivalente, dotata di un centro per l’ipovisione, e la creazione di un organismo intercomunale (comprendente le città di Reggio Calabria e di Messina) nell’ambito dell’area integrata dello stretto.

«Fondamentale il sostegno materiale dei soci», ha commentato Fortunato Pirrotta, presidente regionale dell’U.I.C., esortando i presenti a contribuire economicamente alla realizzazione dei progetti in cantiere, nonché al sostentamento quotidiano dell’associazione, per scongiurarne la scomparsa.

Di arrendersi non se ne parla neanche. «Se nei prossimi giorni non avremo le risposte che aspettiamo da tempo, allora organizzeremo una manifestazione di lotta a Roma», anticipano entrambi i presidenti. «Noi lottiamo – aggiunge Paviglianiti – affinché ciò che abbiamo conquistato non ci sia tolto».

Numerose le personalità politiche che hanno preso parte all’assemblea, confermando il loro impegno a tutela dei non vedenti. L’assessore regionale Demetrio Naccari ha annunciato la presentazione, avvenuta il giorno precedente, al Comitato Regionale della Mobilità di un documento, il Nuovo Piano della Mobilità, in cui si fa specifico riferimento ai non vedenti. «L’uso del mezzo pubblico – ha dichiarato Naccari – consente di realizzare un meccanismo di equità, di utilizzo da parte di tutti, che risulta fondamentale nello sviluppo democratico della città».

«Insieme al sottosegretario di Stato Giovanardi, stiamo esaminando da vicino il problema dei tagli al servizio civile – ha garantito il consigliere regionale Giovanni Nucerache questa categoria ha patito più delle altre».

Gli assessori comunali Tilde Minasi e Candeloro Imbalzano, hanno ribadito la loro attenzione costante verso i disagi dei non vedenti. Allo sfogo di Paviglianiti, che ha lamentato il fatto di non avere ancora incontrato il sindaco Giuseppe Scopelliti dopo nove mesi di assidue richieste, Minasi, precisando che non è facile incontrare tutte le associazione, ha risposto che provvederà a farsi portavoce di questo bisogno.

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Ascoltare per comunicare con i nostri figli

novembre 2, 2009

di Noemi Azzurra Barbuto

20080529_bullismo-300x300Venerdì 6 marzo alle ore 16, presso la sala Monteleone di Palazzo Campanella, si è tenuto l’incontro su “Bullismo, che fare: la mediazione quale strumento di prevenzione e soluzione”, organizzato dall’associazione Tangram, centro di mediazione sistemica sociale e familiare, con il patrocinio morale del Consiglio Regionale.

Il bullismo è un fenomeno che sta coinvolgendo in modo preoccupante i ragazzi a causa dell’aumento della conflittualità all’interno della nostra società, la mediazione si pone non solo come un modo di comunicare in modo positivo, ma anche come uno strumento di educazione alla convivenza, quindi di prevenzione attraverso la diffusione di una cultura che risolve pacificamente i conflitti.

L’avv. Angela Curatola, presidente dell’associazione Tangram, ha introdotto e coordinato i lavori, spiegando innanzitutto il significato del termine “bullismo”, espressione che include non solo un tipo di prevaricazione fisica, esercitata da un soggetto verso un altro soggetto percepito come più debole, ma anche una violenza psicologica, che incide in modo a volte indelebile sulla persona in evoluzione, sebbene siano poco visibili all’esterno i segni che lascia.

Curatola ha posto l’accento sulla necessità di passare dalla punizione alla prevenzione. Invece, il prof. Antonino Romeo, docente di lettere presso l’ITC Piria, ha focalizzato la sua attenzione sulla scuola, che lui chiama “la grande malata, all’interno di un Paese, l’Italia, che non scoppia certo di salute”.

CyberBullyREX_468x366I mali della scuola, secondo Romeo, sarebbero tanti, tra questi il bullismo, ma raccomanda di non esagerare, di non generalizzare e di non assolutizzare, quando si parla di bullismo, perché – egli afferma – “La trasgressione tra i giovani è sempre esistita. E’ vero che oggi i fenomeni sono più diffusi, ma questo succede perché nella nostra società attuale, che è una società di massa, tutto si amplifica”.

Dunque è innegabile che il bullismo sia un male della scuola, ma si tratterebbe di “un male consequenziale, indotto”. Afferma Romeo: “Se riscontriamo episodi del genere, questo è il risultato di una politica che è stata condotta per decenni e che ha portato alla marginalizzazione della scuola. Quale rispetto possono avere i ragazzi verso i professori se il valore fondamentale oggi è il denaro? I genitori stessi oggi non accettano che i loro figli possano essere offesi da un professore, cioè da una persona considerata socialmente inferiore. Abbiamo pensato di creare democrazia, ma abbiamo creato un guaio, perché abbiamo confuso i ruoli. I ragazzi percepiscono la scuola come un modesto club in cui passano il tempo quando non hanno nulla da fare”.

E’ contro la società intera che si scaglia Romeo, una società che educa e allena all’antagonismo, e non contro i ragazzi bulli, che egli definisce “simpatiche canaglie, la parte migliore della scuola”. Infine, Romeo sottolinea la necessità di comunicare con questi giovani, di non lasciarli soli.

Se Romeo ritiene che il bullismo nasca dalla confusione dei ruoli e dalla marginalizzazione della scuola, di tutt’altro avviso è il dott. Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui diritti dei minori, secondo il quale, gli episodi di violenza che vedono come protagonisti i minori, e di cui quotidianamente veniamo a conoscenza tramite i mezzi di informazione, non sarebbero da classificare come bullismo, ma come atti di criminalità. Afferma Marziale: “Se continuiamo a parlare di bullismo, certa gente non capisce che non si tratta più del bullo di una volta, che rubava la marmellata alla nonna, ma di criminali. L’adolescenza non è una malattia che induce a stuprare la compagna. Ci vuole un codice penale minorile adeguato ai tempi. Ci vogliono poi idee di risocializzazione per i giovani. Ma non giustifichiamo ciò che fanno sulla scorta che sono adolescenti”.

Marziale attribuisce la diffusione del bullismo a una caduta generale di valori e di ideali nella nostra società e ad una sorta di abdicazione della società adulta verso i ragazzi, e sottolinea, alla fine, la necessità di regole, di esempi positivi e di responsabilizzazione da parte di tutti verso i giovani. Questi sono punti sui quali convergono, effettivamente, tutti coloro che hanno preso la parola.

La dott.ssa Roberta Giommi, mediatore e Direttore dell’Istituto di Ricerca e Formazione di Firenze, si distacca dalla visione allarmata di Marziale, quando con modi materni dice che “quando parliamo di bullismo, non parliamo di criminalità, parliamo di disagio, di ferite, e parliamo ancora di speranza. Dobbiamo chiederci che cosa abbiamo tolto ai bambini e ai ragazzi”.

SolitudineE’ di amore che parla Giommi, di sentimenti forti e deboli. Afferma: “Il lavoro importante è quello delle formiche: ognuno assume una responsabilità permanente nei confronti di ciò che sta accadendo, cercando di cambiarlo”.

Ma Giommi parla soprattutto di autostima, è forse questa la parola-chiave, è questo il dono che dobbiamo consegnare ai nostri figli, perché chi non ha autostima disprezzerà non solo se stesso ma anche l’altro.

“Quando vivi in una situazione di disagio – afferma la dott.ssa Giommi – gli altri sono poco importanti quanto tu sei poco importante. Una persona che pensa “io valgo, tu vali” è una persona che stabilisce una relazione che ha senso; mentre una persona che pensa “io non valgo, tu non vali” oppure “io non valgo, tu vali” è una persona che stabilisce delle relazioni che non hanno senso, pericolose”.

La soluzione del problema, secondo Giommi, è la comunicazione, ma non quella funzionale, quella cioè del “che hai fatto?”, che sono abituati a fare i genitori oggi, piuttosto quella emotiva, quella cioè del “cosa hai provato?”. In questo senso la soluzione è la mediazione stessa, che non è uno strumento semplice, ma che ha dei concetti fondamentali come il rispetto, l’ascolto, il conflitto come risorsa.

Alla fine prende la parola l’avv.ssa Tilde Minasi, assessore alle politiche sociali, la quale concentra la sua attenzione su un punto fondamentale: “Il giovane di oggi – afferma Minasi – è solo in apparenza più capace e più vivo rispetto al passato, perché c’è una forte frammentazione sociale, sono cambiati i modelli educativi; i giovani sono più preparati, ma hanno una vulnerabilità superiore rispetto al passato. Sono venuti meno i riferimenti sicuri, primo tra tutti quello della famiglia, i genitori sono incapaci di trasmettere dei modelli, ma anche la scuola ha le sue carenze e le sue difficoltà”.

Si tratta, dunque, di giovani abbandonati, soli, spinti troppo in fretta nel mondo degli adulti dagli adulti stessi, persi in un mondo più che altro virtuale, giovani che trovano tragicamente coesione tra loro e senso di identità in azioni che possono troppo facilmente sfociare in atti di violenza e che assomigliano, in fondo, a disperate richieste di aiuto, di attenzione e di sostegno, rivolte a una società che non è più capace di ascoltarli. Tanto più il gesto è violento tanto più questo grido è disperato, e tanto più grande è la responsabilità che pesa su ciascuno di noi.

Esiste forse un unico modo efficace di rispondere a questa richiesta di aiuto: fermarci ad ascoltare. E la mediazione insegna soprattutto l’ascolto.

Afferma Minasi: “La mediazione è il salto epocale che deve affrontare la nostra cultura pedagogica, che deve essere basata oggi sulla comunicazione”.

E ricordiamoci soprattutto di non togliere ai giovani la speranza, perché, come dice Giommi: “Se diciamo sempre ai nostri figli “Non hai futuro”, alla fine ci crederanno”.

abbraccio