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Tratto dal mio libro, “Ali di burro”

gennaio 31, 2012

 Alessandro è felice. Mi abbraccia davanti all’ospedale. Mi solleva, io volo con il mio bambino che galleggia dentro di me. Sorridiamo. Intanto guardo l’ospedale e penso al tempo, che scivola, che scorre come la sabbia di una clessidra, inesorabile, troppo veloce.

Penso che non so bene se gli ospedali siano buoni o cattivi; sono inferno e paradiso insieme, raccolti in un edificio tutto bianco, spoglio dentro e fuori, essenziale; un edificio con delle finestre strette, che ci guardano, che spiano me e Alessandro, dietro quei vetri tante speranze infrante, tante lacrime, tante attese, tanti sorrisi. Lì si attende di morire e si attende di vivere. Lì, dietro quelle finestre curiose, ci sono tanti lettigalleggianti sulle acque dell’oceano, tanti pavimenti che si frantumano sotto i piedi come lastre di ghiaccio, sotto le crepature si vede il nulla, ma io non mi volto più, né guardo in basso; poi tanti visi stanchi, siringhe, aghi, flebo, morfina per non sentire il dolore, per non sentire più niente, per vivere senza soffrire, o per non soffrire mentre si muore; poi tanti dolori, tanti dottori, come camici bianchi che svolazzano nei corridoi lunghi e stretti, che corrono, e, in questa confusione, in questa calma, una ragazza, che sembra una bambina, con i suoi occhi spaventati, che guardano il nulla; con i suoi lividi, le sue spalle piene di ferite, di tagli, con il suo cuore calpestato, con il suo ventre. Lì, dentro quel ventre vuoto, si è rifugiato tutto l’amore del mondo, forse perché ha saputo che lì ce ne era troppo bisogno.

Quella ragazza dietro il vetro piange, mi guarda e piange.

Soo misteriose spesso le lacrime delle donne, delle mamme. Non si vogliono fare vedere. Escono solo di notte. Vivonopoco, asciugate dalla pele assetata, dalle mani che vogliono cancellarle, ingoiate dalla bocca, per riportarle nello stomaco, ma risorgono sempre.

Come è strana la vita! O come è strana la morte! Eccomi qui, alla vigilia della mia trasformazione più profonda, della mia rinascita, eccomi qui mentre aspetto la nascita di mio figlio con Alessandro accanto a me, che mi tiene la mano.

Le braccia di Alessandro sono come un porto con le acque calme dopo tanto girovagare in mezzo alle tempeste, e le sue mani sono come un faro che dice: “Vieni, sono qui!”. Mi ci butto ancora, voglio riposarmi. Io mi sento al sicuro lì. Mi sento a casa adesso.

Quanto ho viaggiato per giungervi! Ho visto tanta gente, tante storie, tante barche battenti bandiere diverse, tutte colorate; ho visto tante fanciulle aspettare sul molo i loro marinai, guardando il mare in tempesta, supplicando il Signore che quelle onde non trascinino via, negli abissi, il loro amore.

Alcuni sono tornati, altri non si sono visti mai più.

Ma non importa più cosa è stato, ciò che conta è questo momento, in cui Alessandro mi abbraccia e mi dice che è l’uomo più felice del mondo. E io sento un sollievo. Lo sento nello stomaco, nel ventre. Ora non ho più nessuna paura.

Quando Alessandro seppe tutto, non andò via. Quel giorno mi fece ridere di più, e quando io glelo feci notare, lui mi rispose: “Perché oggi hai più bisogno di ridere”.

Andiamo via insieme, la mia mano avvolta nella sua. Mi volto per dare un ultimo sguardo a quella ragazza che sta dietro il vetro. Non piange più adesso. Lei mi guarda e sorride.