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La Calabria nella cultura europea tra ‘700 e ‘800

dicembre 8, 2009

di Noemi Azzurra Barbuto

L’immagine della Calabria trasmessa dai giornalisti scientifici del ‘700-‘800 e dai viaggiatori europei. È il tema dell’ultima sessione del convegno di studi “Spazi politici e spazi naturali, la Calabria nella cultura europea”, organizzato congiuntamente dalla Provincia, dall’Università Roma Tre, dal Centro di Studi filosofici di Reggio Calabria e dal liceo scientifico “Leonardo Da Vinci”, che si è concluso sabato 5 dicembre nell’aula magna del liceo scientifico.

A parlare della Calabria raccontata nei giornali napoletani dell’epoca, che in realtà erano delle riviste scientifiche periodiche curate da medici scienziati, Maria Conforti, bibliotecaria e docente dell’Università “La Sapienza” di Roma, che, attraverso antiche pagine di giornale ha ricostruito il modo in cui la nostra terra era guardata nel resto del regno di Napoli e all’estero.

Conforti ha spiegato agli studenti che l’interesse nei confronti della Calabria, manifestatosi non a a caso dopo il devastante terremoto del 1783, derivava soprattutto dal desiderio degli scienziati di studiare la sua geologia.

Ciò che emerge da quei fogli di giornale è una Calabria disperata, isolata e trascurata. I calabresi vengono equiparati agli sciiti e agli abissini con un tono quasi razzista. «Un segnale inquietante», ha commentato Conforti, che, dopo avere citato alcuni calabresi che a quel tempo sono riusciti a distinguersi all’estero nonostante il forte pregiudizio nutrito nei loro confronti, ha concluso il suo intervento offrendo uno spunto di riflessione ai ragazzi tramite una domanda: «Ma è vero che ancora oggi si può emergere solo andando via?».

Ha affrontato il complesso tema dell’identità Fulvio Librandi, docente dell’Università della Calabria, che attraverso i racconti, spesso immaginari, di viaggiatori anche celebri, come lo scrittore francese Stendhal, ha parlato di una Calabria abitata, nell’ottica miope ed etnocentrica degli autori, da selvaggi «più simili alle bestie che agli esseri umani», meta di un tipo di turismo che oggi sarebbe definito “sessuale”.

Incolti, furbi, approfittatori, sporchi, violenti, litigiosi, primitivi, vengono descritti così i calabresi, ponendo i semi di un pregiudizio, ancora più pericoloso quando è strumentalizzato dalla politica, che costituisce, come ha sottolineato Librandi, «una modalità di osservare che orienta ancora i viaggiatori che vengono al sud, realizzando il processo distorsivo della generalizzazione».

Non è così che ci si avvicina ad un’altra cultura, ne è convinto Librandi, che sostiene che le culture non abbiano confini netti come gli Stati, bensì delle «frontiere mobili» nelle quali siano possibili l’incontro ed il riconoscimento reciproco, dal quale deriva anche il senso di identità.

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Il museo della ‘ndrangheta: la casa della speranza

dicembre 2, 2009

di Noemi Azzurra Barbuto

E’ immersa tra le colline di Croce Valanidi la villa a tre piani, fornita di bunker e di passaggi sotterranei, che, confiscata alla mafia e consegnata dal Comune all’associazione “Antigone”, è adesso sede del “Museo della ‘ndrangheta”, inaugurato ieri mattina.

In questa occasione è stata aperta al pubblico anche la mostra fotografica permanente “Silenzio e memoria”, curata da Adriana Sapone, comprendente 150 immagini a colori ed in bianco e nero, che raccontano in modo a volte cruento le due storie parallele della mafia e dell’antimafia.

Presenti alla cerimonia importanti esponenti del mondo politico e delle forze dell’ordine, tra questi il capo della squadra mobile, Renato Cortese.

A recidere il nastro simbolo dell’apertura ufficiale del museo, benedetto da don Antonino Vinci, il sindaco Giuseppe Scopelliti, che ha spiegato il significato di questo progetto ai duecento studenti degli istituti superiori di Reggio Calabria, Palmi, Taurianova, Villa San Giovanni, Siderno e Locri, accolti dal coordinatore del museo Claudio La Camera e da tutto lo staff.

Non vogliamo storicizzare la mafia, metterla in un museo e dire che appartenga al passato, perché non è così – ha affermato Scopelliti – l’obiettivo è trasmettere ai ragazzi la cultura della speranza“.

Sul carattere non celebrativo del museo e sul suo valore culturale si sono soffermati anche il consigliere comunale Giuseppe Sergi, che ha ribadito che la lotta alla mafia debba andare al di là del colore politico; l’assessore provinciale alle Politiche Sociali Attilio Tucci, che ha fortemente sostenuto questo progetto ed ha spiegato come questo si estenderà fino ad assumere una dimensione internazionale; e l’assessore regionale Demetrio Naccari, secondo il quale, questo museo può fornire ai giovani “la visione della verità da uno spiraglio diverso“.

La ‘ndrangheta non ha piacere che si parli delle sue attività – ha commentato il vice prefetto Giuseppe Priolo – noi siamo qui per parlarne e per fare vedere ciò che di orrendo è capace di fare“.

Una lezione utile per i ragazzi, che potranno comprende, passeggiando tra le lussuose stanze della villa, che la mafia esiste ancora e che il mafioso vive sempre nella paura ed è privo di libertà non solo nello spazio ristretto di una cella o di un nascondiglio, ma anche nella sfarzo e nella ricchezza della sua casa.

Questo è anche il museo del presente, dove noi possiamo aiutare i ragazzi a costruire occhi che vedono ed orecchie che sentono“, ha dichiarato Fulvio Librandi, ideatore e responsabile scientifico del progetto.

Anche io da ragazzo – ha proseguito Librandi – avrei desiderato un luogo come questo, senza intuire la mafia dai silenzi e dagli sguardi bassi degli adulti“.

Quindi, il museo della ‘ndrangheta è un museo soprattutto dei giovani, uno spazio di azione e di ricreazione, in cui potrà essere coltivata quella cultura della legalità indispensabile per un efficace cambiamento di rotta.