di Noemi Azzurra Barbuto
L’immagine della Calabria trasmessa dai giornalisti scientifici del ‘700-‘800 e dai viaggiatori europei. È il tema dell’ultima sessione del convegno di studi “Spazi politici e spazi naturali, la Calabria nella cultura europea”, organizzato congiuntamente dalla Provincia, dall’Università Roma Tre, dal Centro di Studi filosofici di Reggio Calabria e dal liceo scientifico “Leonardo Da Vinci”, che si è concluso sabato 5 dicembre nell’aula magna del liceo scientifico.
A parlare della Calabria raccontata nei giornali napoletani dell’epoca, che in realtà erano delle riviste scientifiche periodiche curate da medici scienziati, Maria Conforti, bibliotecaria e docente dell’Università “La Sapienza” di Roma, che, attraverso antiche pagine di giornale ha ricostruito il modo in cui la nostra terra era guardata nel resto del regno di Napoli e all’estero.
Conforti ha spiegato agli studenti che l’interesse nei confronti della Calabria, manifestatosi non a a caso dopo il devastante terremoto del 1783, derivava soprattutto dal desiderio degli scienziati di studiare la sua geologia.
Ciò che emerge da quei fogli di giornale è una Calabria disperata, isolata e trascurata. I calabresi vengono equiparati agli sciiti e agli abissini con un tono quasi razzista. «Un segnale inquietante», ha commentato Conforti, che, dopo avere citato alcuni calabresi che a quel tempo sono riusciti a distinguersi all’estero nonostante il forte pregiudizio nutrito nei loro confronti, ha concluso il suo intervento offrendo uno spunto di riflessione ai ragazzi tramite una domanda: «Ma è vero che ancora oggi si può emergere solo andando via?».
Ha affrontato il complesso tema dell’identità Fulvio Librandi, docente dell’Università della Calabria, che attraverso i racconti, spesso immaginari, di viaggiatori anche celebri, come lo scrittore francese Stendhal, ha parlato di una Calabria abitata, nell’ottica miope ed etnocentrica degli autori, da selvaggi «più simili alle bestie che agli esseri umani», meta di un tipo di turismo che oggi sarebbe definito “sessuale”.
Incolti, furbi, approfittatori, sporchi, violenti, litigiosi, primitivi, vengono descritti così i calabresi, ponendo i semi di un pregiudizio, ancora più pericoloso quando è strumentalizzato dalla politica, che costituisce, come ha sottolineato Librandi, «una modalità di osservare che orienta ancora i viaggiatori che vengono al sud, realizzando il processo distorsivo della generalizzazione».
Non è così che ci si avvicina ad un’altra cultura, ne è convinto Librandi, che sostiene che le culture non abbiano confini netti come gli Stati, bensì delle «frontiere mobili» nelle quali siano possibili l’incontro ed il riconoscimento reciproco, dal quale deriva anche il senso di identità.