Posts Tagged ‘crisi economica’

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Amori part-time e precariato affettivo: una società sull’orlo di una crisi…di nervi

Maggio 12, 2015

di Azzurra Noemi Barbuto

In un mondo in cui dominano precariato e flessibilità ed in cui i giovani sono costretti a passare da un lavoro ad un altro, per poter riuscire a pagare l’affitto, fare la spesa, pagare la rata della macchina, insomma sopravvivere senza una progettualità possibile ed eventuale, si è precari anche in amore, a tempo determinato anche nel cuore di qualcuno, sempre pronti a trovare il ripiego e con a bordo la ruota di scorta.

Dicono che sia necessario adattarsi, perché le regole adesso sono queste ed il fatto che il mondo vada così non voglia dire che sia peggiorato, ma che stia evolvendo semplicemente verso qualcosa di nuovo che, tra qualche decennio, ci porterà a rimbalzare da un’occupazione ad un’altra considerandoci liberi ed autonomi per questo, senza interrogarci sul “cosa farò domani”, senza aspirare ad un noioso posto fisso. Non lo so, ma mi sembra difficile crederlo. 
L’essere umano ha bisogno di stabilità da sempre. È qualcosa di fisiologico. Chiamatelo anche “istinto”, se vi pare. Lo stesso che porto gli uomini preistorici a passare dal nomadismo e dalla caccia al villaggio e all’agricoltura, ed infine alla città, che diventò metropoli, piena di gente che và e che viene da ogni parte del mondo, in cui tutto è velocizzato, ma che, per funzionare, ha comunque bisogno di orari fissi, regole fisse, insomma di certezze e di continuità. 
Possiamo davvero fare a meno di una storia d’amore stabile e duratura? 
  
Insomma, possiamo vivere bene tutta la vita passando da una relazione part-time ad un’altra o abbiamo bisogno anche della sicurezza affettiva per progredire? 
Quando amiamo stabilmente tiriamo fuori il meglio di noi. Nasce in noi il desiderio di essere migliori di ciò che siamo: di dimagrire, di smettere di fumare o di drogarci, di smettere di bere, di impegnarci di più sul lavoro, di cercare casa, di rinunciare ad uno stile di vita troppo frivolo, di prenderci più cura di noi stessi, di risparmiare, di utilizzare meglio il nostro tempo, è così via. 
All’interno di una relazione stabile cresce in noi lo stimolo ad adottare un modello di vita più sano ed equilibrato che ci porterà ad essere persone migliori e anche cittadini migliori. Insomma, la nostra società ha bisogno di più amore, non solo di più lavoro, ed in un certo senso questi due aspetti vanno di pari passo.
Non si può vivere bene senza lavorare. E non si può vivere bene senza amare. Lavoro è amore sono due rette parallele che, ad un certo punto, nella vita di ciascuno, si intersecano. Due binari che si corrono accanto verso la stessa direzione. 
Possiamo solo auspicare che siano il più possibile continue, perché, andando a singhiozzi, non si procede. 
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Noi figli della crisi più nera della storia

novembre 22, 2011

di Noemi Azzurra Barbuto

Da piccoli giocavamo con il crystal ball, collezionavamo le figurine di “L’amore è”, guardavamo in tv Bim Bum Bam, Sailor Moon e Lady Oscar, indossavamo le timberland, e sognavamo il nostro brillante futuro.

Poi siamo cresciuti e abbiamo capito che niente è facile, che tutto richiede impegno e sacrificio. Abbiamo studiato duramente, per costruirci un futuro migliore, contando sul fatto che bastasse questo perché certi problemi non ci toccassero.

Già a scuola ci parlavano di disoccupazione. Ne avevamo sentito parlare insieme alla “Questione meridionale”. Le maestre ed i professori ci dicevano che i giovani andavano via da qui, dal sud, perché qui non c’era lavoro. E noi pensavamo che per noi sarebbe stato tutto diverso. Sì, il problema si sarebbe risolto, si sarebbe estinto con gli anni, e quando adulti ci saremmo inseriti nel contesto lavorativo, sarebbe stato facile, ci sarebbe stato lavoro in abbondanza, non avremmo dovuto scappare via, maledicendo la nostra terra traditrice.

E poi siamo cresciuti. Noi, generazione sfortunata, svantaggiata, osteggiata perché non lavora, noi, con tanta voglia di farlo, con tanta frustazione, con tanta rabbia, noi, indignatos, chiamati “bamboccioni” da chi un lavoro ce l’ha e anche buono. Ci considerano passivi, inermi, privi di fantasia, incapaci di costruirsi una carriera, di inventarsi un lavoro, di fronteggiare la crisi. Ci considerano persino privi di voglia di lavorare.

Ci dicono: “Il lavoro c’è, se uno lo vuole”. E dove? Diteci dove. Così noi andremo a prenderlo, noi a cui non basta più emigrare per un salario, noi figli del precariato, del lavoro nero, dell’instabilità, dell’ “oggi, per fortuna, lavoro; domani non so”. Noi figli della crisi nera, che più nera non si può.

Noi vorremmo andare via dalla casa di mamma e papà, alcuni di noi non ci stanno più bene, altri non ci sono mai stati bene ed ancora, purtroppo, non possono lasciarla, con tutti i problemi che ne conseguono. Noi vorremmo sposarci. Vorremmo costruirci una famiglia. Noi vorremmo vivere da soli. Noi vorremmo arrivare distrutti a fine giornata per il duro lavoro. Noi vorremmo fare la spesa. Noi vorremmo comprarci il pane. Noi vorremmo finalmente diventare adulti, ma stiamo soltanto diventando vecchi. Delusi, disillusi, stanchi.

Noi lottiamo per andare via dalla casa di mamma e papà, alcuni di noi non ci stanno più bene, altri non ci sono stati bene mai, e lottano ancora più forte. Noi lottiamo per sposarci. Noi lottiamo per costruirci una famiglia. Noi lottiamo per poter vivere da soli. Noi lottiamo per arrivare distutti a fine giornata per il duro lavoro. Noi lottiamo per poter fare la spesa. Noi lottiamo per comprarci il pane. Noi lottiamo per diventare finalmente adulti. Noi lottiamo per un posto di lavoro. Ma sembra tutto inutile.

E cosa sarà di noi domani? Ora non guardiamo più al futuro con la certezza che tutto si risolverà, perché tutto è peggiorato, e noi abbiamo imparato la lezione: “Mai illudersi, mai sperare, mai sognare in questo mondo che ha troppo bisogno di fantasia”.

E anche se dalla crisi usciremo, quali prospettive si apriranno per noi che siamo diventati vecchi giovani senza esperienza, senza curriculum, ma con tanto studio sulle spalle? Ci saranno altri giovani che vorranno diventare adulti. Giovani più fortunati di noi.

Non vediamo futuro. Non vediamo spazio per noi nel mondo.

Abbiamo perso tutto. Abbiamo perso la speranza.

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“Questa è la CGIL che vogliamo”: verso il XVI congresso nazionale

dicembre 17, 2009

di Noemi Azzurra Barbuto

Più vicina alle esigenze dei lavoratori, più moderna, più impegnata nella lotta per la piena occupazione, più attenta ai giovani e agli anziani. È questa la CGIL che vogliono i segretari riunitisi ieri pomeriggio nell’aula magna dell’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, coordinati da Tonino Perna, docente dell’Università di Messina, al fine di presentare ufficialmente il documento “La CGIL che vogliamo, lavoro, democrazia e diritti”.

Numerose le tematiche all’ordine del giorno affrontate da Antonio Barberio, segretario generale FISAC-CGIL Calabria, Mario Sinopoli, segretario generale FIOM-CGIL Calabria, Daniele Carchidi, segretario Nidil-CGIL Catanzaro Lamezia, e da Carlo Podda, segretario generale nazionale FP-CGIL.

Ciò che è emerso nel corso del dibattito è stata un’esigenza di rinnovamento della strategia complessiva che fino ad oggi ha guidato l’azione della confederazione, la più grande organizzazione sociale del Paese che conta 6 milioni di iscritti, dettata dai mutamenti in atto all’interno della società italiana e mondiale.

Il secondo documento, “La CGIL che vogliamo”, che verrà discusso nel corso del XVI congresso nazionale e che si contrappone ad un primo, disegna un’organizzazione capace non solo di svolgere un ruolo più attivo e propositivo, ma anche di agire con maggiore compattezza, creando una strategia lineare ed unitaria, l’unica veramente vincente nella lotta per i diritti dei lavoratori.

Come hanno sottolineato tutti i segretari, le sfide da affrontare non sono poche: crisi economica, precariato, licenziamenti di massa. Ma la prima, assolutamente da vincere per poter poi superare tutte le altre, consiste proprio nel ritrovare unità, nel tornare a parlare con una voce sola, superando le divisioni interne che tolgono efficacia e forza alle proposte avanzate dalla confederazione.

«La CGIL così com’è non ci piace, perché non sta bene di salute» ha dichiarato Sinopoli. La cura più efficace, secondo i segretari, è proprio il secondo documento, che segua un vistoso cambiamento di rotta rispetto al passato, restituendo alla confederazione il suo ruolo di baluardo di democrazia e di difesa dei diritti di tutti i lavoratori, compresi quelli «scoraggiati», come li ha chiamati Perna, ossia quelli che, ormai demoralizzati da un mercato incapace di assorbirne la domanda, rinunciano a cercare lavoro.

«C’è un futuro da conquistare», recita lo slogan del secondo documento. Ma, secondo Perna, «non c’è nulla da conquistare, bensì tutto da restituire alle giovani generazioni, derubate dalla società e nate con gravi debiti sulle spalle».

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Microfinanza: risposta locale alla crisi globale

novembre 1, 2009

di Noemi Azzurra Barbuto

salvadanaioMartedì 17 marzo alle ore 11:00 si è tenuto, presso il salone della Camera di Commercio di Reggio Calabria, il seminario “Crisi del credito: il caso Reggio Calabria. Istituzioni e banche, fare rete contro la crisi”, organizzato dalla C.C.I.A.A.- Servizio Sviluppo Imprese. Ha aperto i lavori il dott. Lucio Dattola, presidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, il quale ha messo in evidenza l’impegno di tutto il sistema camerale italiano nel contrastare la crisi economica e la necessità dell’intervento e della collaborazione delle banche. Nell’era della globalizzazione neanche una realtà locale come la provincia di Reggio Calabria è immune dagli effetti negativi di una crisi economica che ha assunto, a causa della stretta interdipendenza delle economie dei vari stati che compongono il sistema internazionale, una dimensione globale. Quindi, anche noi avvertiamo delle difficoltà in tutti gli aspetti della vita economica, sebbene in misura ridotta rispetto alle altre realtà sia piccole che grandi, dal momento che, come ha sottolineato lo stesso Dattola, “per noi la crisi è quasi una costante delle nostre attività”. E’ il dott. Giuseppe Capuano, Responsabile dell’Area Studio e Ricerche del prestigioso Istituto Guglielmo Tagliacarne, a delinearci, anche attraverso dati statistici, la situazione economica attuale della nostra provincia. Non si parla solo di imprese ma anche di famiglie, anch’esse sono stressate e in difficoltà.

Capuano ci spiega come oggi stiano cambiando, per effetto della crisi, l’approccio al mercato e gli indirizzi di politica economica. Siamo passati da una visione del mercato autoregolatore alla brusca presa di coscienza che il mercato da solo non ce la può fare e ha bisogno di regole, quindi ad una nuova politica economica, che, essendo l’Italia, e in particolare la Calabria, caratterizzata da diversi sistemi di sviluppo, deve essere filtrata anche a livello locale. Per questo Capuano insiste sull’esigenza di monitorare e modificare a livello locale le scelte di politica economica. Egli ritiene che la crisi possa costituire un’occasione per ripensare e cambiare il nostro modello di sviluppo, forse anche un’occasione per metterci alla pari rispetto alle altre economie locali nazionali, dal momento che, quando usciremo da questo lungo tunnel, i divari tenderanno di nuovo ad aumentare e solo le economie virtuose, quelle cioè che hanno avuto la capacità di adattarsi, di affrontare e di sfruttare il momento negativo, ripartiranno veloci.

Un aspetto problematico, sul quale occorre intervenire, riguarda i rapporti tra sistema socioimprenditoriale locale e mondo bancario. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito ad un vistoso cambiamento: si sono ridotte le banche che sono espressione del territorio, cioè quelle dove le micro imprese potevano essere favorite, così le imprese locali si sono trovate davanti una nuova banca, asettica, lontana, estranea e indifferente. Nonostante nella provincia reggina tenda a diminuire la percentuale delle procedure fallimentari rispetto all’universo imprenditoriale, è critico il giudizio delle banche nei confronti del tessuto imprenditoriale locale, continuano a considerarlo più “rischioso” rispetto ad altre aree del Centro-Nord. Ecco perché, nonostante il tessuto di imprese sia oggi altamente affidabile, costituito cioè da imprese più solvibili, meno rischiose dunque per il sistema creditizio, esse continuano a pagare un tasso di interesse più elevato rispetto ad altre realtà. In particolare, le banche sono riluttanti ad erogare credito a “clienti nuovi”, considerando il contesto locale caratterizzato da elevati rischi di “default” e non conoscendo approfonditamente la propria clientela.

Per superare la crisi con successo sarebbe invece fondamentale che le banche assumessero un’ottica di partnership, di affiancamento all’impresa, rapportandosi al territorio. Dice Capuano: “E’ il sistema bancario che deve riflettere, troppo legato com’è a pregiudizi e stereotipi che deve recidere”.

Come uscire dal tunnel? Capuano afferma: “E’ una crisi eccezionale, che va ricomposta con strumenti eccezionali. Tutti devono fare la loro parte. O ne usciamo tutti insieme o non ne usciamo. E’ necessaria la collaborazione di tutti i soggetti interessati: imprese, banche, pubblica amministrazione, cittadini. Bisogna ripensare un modello di sviluppo e pensare oltre la crisi, evitando gli errori che a livello macro sono stati fatti negli Stati Uniti. Di vitale importanza è analizzare e monitorare il sistema, controllandolo nell’interesse di tutti. Il 2009 sarà una palestra, utilizzata per analizzare, ripensare e intervenire”.

cravattariL’avv. Antonio Palmieri, Segretario Generale della Camera di Commercio di Reggio Calabria, sottolinea un altro inquietante aspetto dell’esclusione finanziaria. Essa genera infatti deviazione, cioè usura. La Camera di Commercio si è impegnata a combattere anche questo fenomeno, perché, – come ha affermato il suo presidente, Dattola -, essa, “essendo un ente pubblico, deve avere un’anima sociale e aiutare coloro che al sistema creditizio non possono accedere”.

Quali gli strumenti per uscire dalla crisi? Il dott. Maurizio Berruti, del Consorzio Camerale Credito e Finanza, introduce il tema della “microfinanza”, e sottolinea come la Camera di Commercio di Reggio Calabria sia stata la prima a promuovere questo strumento che, – come ci spiega Berruti -, “non è elemosina. Le micro imprese costituiscono l’80% del tessuto imprenditoriale locale. Se ci concentriamo su queste imprese, abbiamo la possibilità di fare ripartire l’economia. Più imprese micro possono costituire un distretto, cioè una grande impresa, che ha una grande elasticità, maggiore rispetto a quella di una piccola impresa. Inoltre, la micro impresa ha dimostrato resistenza maggiore alla crisi rispetto alla grande impresa”.

La microfinanza va intesa come un servizio etico, messo a disposizione del sistema economico locale per sostenere l’imprenditorialità e gli interventi di sviluppo aziendale. Alla fine Palmieri illustra il “Programma credito”, elaborato dalla Camera di Commercio della provincia reggina per le imprese. Afferma Palmieri: “Il Programma credito ha uno scopo fondamentale: realizzare una sinapsi virtuosa, una forte interconnessione, tra il sistema delle imprese e il sistema del credito. Questa sinapsi è assente a livello locale, piuttosto si registra conflittualità.Con tale programma la Camera di Commercio intende favorire un incontro, un confronto continuo tra banche e imprese, realizzato nell’interesse di entrambe le parti”.

Dunque, il sistema economico locale ha bisogno di una maggiore interazione tra banche e imprese per dischiudere le sue numerose potenzialità. In quest’ottica la microfinanza, cioè la rete banche-confidi-istituzioni per un credito ordinario accessibile, è uno strumento per sconfiggere la crisi e – come ha affermato Palmieri – “per far prevalere una cultura del credito fondata su due capisaldi: il credito è un diritto di tutti e al centro del credito c’è l’individuo, non la casa”.