Posts Tagged ‘centro internazionale scrittori della calabria’

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Le donne dei Cesari: se il potere avesse sesso, sarebbe “femmina”

gennaio 15, 2010

di Noemi Azzurra Barbuto

Spietate, dissolute, frivole, ma anche intelligenti, forti, affascinanti, sono così le donne dei Cesari, alle quali il Centro Internazionale Scrittori della Calabria (C.I.S.) in collaborazione con l’associazione culturale Anassilaos ha dedicato un ciclo di incontri, conclusosi mercoledì pomeriggio nella saletta San Giorgio al Corso con il quinto appuntamento “Da Vespasiano a Domiziano”.

A raccontare queste particolari figure femminili dell’Impero Romano Stefano Iorfida, presidente dell’associazione Anassilaos.

L’obiettivo dell’iniziativa è, come ha illustrato Iorfida, «capire fino a che punto il materiale che la storiografia ha raccolto su queste donne fosse reale o mero gossip».

Ciò che è emerso nel corso degli incontri è stato un sentimento di malevolenza da parte degli storici nei confronti delle potenti donne dei Cesari, unito ad «una precisa volontà di denigrarle -ha spiegato Iorfida- in quanto donne e detentrici di potere».

Un potere piuttosto ambiguo, quasi effimero, almeno così sembrerebbe, essendo esercitato dietro le quinte, eppure non per questo meno incisivo e penetrante. Ne è un esempio emblematico Agrippina, moglie di Claudio e madre di Nerone, che ebbe un ruolo di grande rilevanza, arrivando in alcune circostanze ad esercitare il potere quasi in modo ufficiale.

La grandezza di queste donne risiede soprattutto nell’essere riuscite ad emergere in una società maschilista, come testimonia anche la letteratura dell’epoca, spesso intrisa di misoginia.

Donne e potere. Un binomio che appartiene alla notte dei tempi e che non smette di destare interesse. C’è chi ritiene che dietro ogni grande uomo ci sia una grande donna e c’è chi ritiene, come Iorfida, che non si possa generalizzare. «Il potere è unico», ha dichiarato il presidente dell’associazione Anassilaos, dunque non avrebbe sesso. Lo testimonia la storia, secondo Iorfida, fatta di uomini e di donne parimenti spietati quando sono in gioco la conquista o la conservazione del potere. Ciò che forse distingue la donna dall’uomo è la sua maggiore capacità di servirsi dell’intuito.

Meno affidabile, soprattutto se usata maldestramente, l’arma del fascino, alla quale non mancarono di ricorrere le donne dei Cesari, distruttiva quando non accompagnata dall’intelligenza.

Ha scritto Oriana Fallaci: «Il vero potere non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia. Il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza». Sembra dunque che, se il potere avesse sesso, sarebbe “femmina”.

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Il Festival della poesia dialettale per mantenere vive le nostre radici

gennaio 13, 2010

di Noemi Azzurra Barbuto

Linguaggio delle radici ed autentica letteratura, il dialetto, da lingua dimenticata, rivive oggi più che mai nella poesia, tanto da diventare protagonista indiscusso di un festival, quello di poesia dialettale calabrese, intitolato in questa seconda edizione al poeta Giuseppe Morabito e conclusosi con la cerimonia di premiazione ieri pomeriggio nell’Università della Terza Età di via Willermin.

Il concorso, organizzato dal Centro Internazionale Scrittori della Calabria (C.I.S.), con il patrocinio dell’Assessorato alla Pubblica Istruzione della Provincia di Reggio Calabria, ha registrato quest’anno un’ampia partecipazione, persino da parte di poeti di origine calabrese che si trovano attualmente fuori regione.

Non è stato facile per la giuria, composta da illustri personaggi della realtà culturale locale e presieduta dalla scrittrice Francesca Neri, scegliere i primi vincitori, Gaetano Verduci per la sezione A (poesia inedita) e Antonio Zurzolo per la sezione B (poesia edita), ai quali oltre alle targhe è stato assegnato un premio di 500,00 euro ciascuno. Nel corso della serata sono stati consegnati anche altri premi: quello alla carriera al poeta Franco Blefari, e quello alla cultura a Stefano Iorfida, presidente dell’associazione culturale Anassilaos. Inoltre, un premio al Blu Sky Cabaret per il trentaseiesimo anno dalla fondazione e al suo presidente, Mimmo Raffa, per l’avere contribuito attraverso il teatro alla sopravvivenza del nostro dialetto; ed uno all’Università della Terza Età per il venticinquesimo anno dalla fondazione.

La premiazione è stata arricchita da un momento artistico, con l’esposizione delle opere dello scultore Filippo Pizzimenti, e da uno musicale, con l’intervento dei maestri Flora Ferrara e Adolfo Zagari. Scopo dell’iniziativa, come ha spiegato Lorely Rosita Borruto, presidente C.I.S. Della Calabria, è quello di «mantenere viva la memoria della nostra regione».

Sembra quasi una sorta di reazione, spontanea eppure dovuta, ai meccanismi innescati dal processo di globalizzazione, che tende sempre più ad annullare i piccoli usi locali e le singole identità. Infatti, «il recupero del dialetto nella letteratura -come ha spiegato Maria Festa, scrittrice e componente della giuria- si accompagna ad un bisogno di ritorno alle radici». «Dobbiamo recuperare la lingua dialettale -ha dichiarato Ercole Nucera, assessore provinciale alla Pubblica Istruzione- per resistere al cambiamento in atto nella società che cancella la nostra tradizione».

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Mare nostrum: una risorsa da tutelare

ottobre 30, 2009

di Noemi Azzurra Barbuto

01-copiaGiovedì 9 aprile, alle ore 16:45, presso la Biblioteca Comunale, Villetta De Nava, di Reggio Calabria, è stata inaugurata la mostra fotografica: “Reggio Calabria: Mare Nostrum e turismo subacqueo” di Francesco Turano, organizzata con il sostegno del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.

La mostra, che sarà aperta al pubblico dal 9 al 24 aprile, raccoglie ed espone numerose fotografie scattate in fondo al mare dal Dott. Francesco Turano, un uomo che ha dedicato tutta la vita alla sua passione per il mare e le sue straordinarie bellezze.

Ha introdotto i lavori la Dott.ssa Loreley Rosita Borruto, presidente del C.I.S. della Calabria, che ha passato la parola all’On.le Antonella Freno, assessore ai Beni Culturali e Grandi Eventi del Comune di Reggio Calabria, la quale si è soffermata sul rapporto della città con il suo mare, legame che il sindaco Scopelliti ha voluto riscoprire e rivalutare, costituendo esso un pilastro fondamentale della nostra storia e della nostra cultura, nonché un’opportunità di sviluppo e di crescita, anche economica, per il futuro.

Reggio Calabria non può prescindere dal suo mare, né può essere disgiunta da esso, perché il suo mare è parte integrante della sua identità.

L’On.le Freno ha posto l’accento sull’esigenza di tutelare il nostro patrimonio naturalistico, affermando: “Mi auguro che questa mostra sia ambasciatrice del rispetto ambientale. E’ un appello alle coscienze e al cuore”.

Subito dopo è intervenuto il Dott. Cannizzaro, disaster manager, esperto di pianificazione territoriale e protezione civile del Dipartimento di Scienze Ambientali, nonché coordinatore di rischio sismico dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

Cannizzaro ha illustrato i danni che noi provochiamo al nostro mare e le ripercussioni che questo produce anche sul nostro benessere fisico. “La perturbazione del mare diventa un’azione deleteria per la nostra salute” – ha affermato – “Non facciamo altro che distruggere questa nostra importante risorsa, che dovremmo piuttosto difendere e trasformare in un grande motore per l’attrazione turistica. Dobbiamo tradurre il mare in offerta e commercializzarlo. Ma a questo scopo è necessario un comportamento civile ed educato da parte dei cittadini”.

Infine, abbiamo l’intervento di Francesco Turano, esperto di esplorazioni subacquee e nuove tecniche fotografiche, autore di questi scatti meravigliosi, che sembrano quadri dipinti dal più sapiente dei pennelli, in cui il giallo, il fucsia, il verde, il rosso e l’azzurro si mescolano in tutte le loro gradazioni senza mai sovrapporsi, incantando l’occhio dello spettatore, incredulo davanti a questo spettacolo della natura, purtroppo sconosciuto alla maggior parte degli uomini.linosa1

Ce lo svela Turano questo tripudio di colori vivaci e di strane forme, che sembrano danzare fluttuanti in un silenzio e in una quiete che non si trovano nel mondo degli uomini.

E’ la notte il momento più magico per scoprire i segreti della biologia marina.

“Le immagini esposte sono tutte realizzate nel nostro mare” – ci tiene a specificarlo Turano -, “Ci dedichiamo poco a fotografare il Mediterraneo, perché è un mare difficile, più freddo, più profondo rispetto agli altri mari, inoltre, qui è più impegnativo trovare la vita, gli animali sono celati, bisogna cercarli. Quindi l’immersione nel Mediterraneo è solo per gli appassionati come me. Il nostro mare, in particolare, è unico, potrebbe essere patrimonio dell’umanità per la rarità delle specie che lo popolano, tuttavia c’è scarso interesse. Questo degrado il mare lo patisce, abbiamo specie che si spengono, come i cavallucci marini, un tempo numerosissimi nelle nostre acque e oggi sempre più rari. Le mie fotografie non vogliono essere spettacolo, io voglio portare i cittadini a dire: “Questo è il nostro mare, difendiamolo!”. Mi auguro che la mia mostra possa essere un granello di sabbia per smuovere la coscienza di tutti quanti”.

Dunque, mare nostrum, nostra risorsa, nostra ricchezza, nostra identità, nostrum eppure poco conosciuto e poco rispettato. Noi amiamo il nostro mare, eppure lo teniamo a distanza, riscoprendolo solo quando giunge la bella stagione, lamentandoci per lo stato di abbandono in cui versa, senza comprendere che siamo solo noi i colpevoli del suo malessere. E’ affascinante e misterioso il nostro mare. Rivolgiamo a Turano una domanda curiosa.

In fondo al mare lei è solo, in un habitat che non è il suo naturale, nel silenzio e nel buio, circondato da creature insolite, ha mai avuto paura?

“Certo, la paura è sempre lì con me, anche perché paura significa rispetto e consapevolezza di trovarti in un mondo non tuo, da esplorare in punta di piedi. Quando smetti di avere paura, c’è qualcosa che non funziona”.

Quindi, ricordiamoci di rispettare il nostro mare ogni giorno dell’anno, in primo luogo, perché è nostro; in secondo luogo, perché non ci appartiene.

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“Cosa farò da grande”: un viaggio di fantasia su mille luci di felicità

ottobre 30, 2009

 di Noemi Azzurra Barbuto 

101635~1“L’occhio vede attraverso ciò che la mente vuole, cerchiamo di tenere sempre un piccolo spazio creativo, fatto di fantasia mista a realtà nei nostri cuori. Ci aiuterà a rimanere sempre un po’ bambini e un po’ adulti, e comunque sempre abitanti di quella fantastica isola che non c’è, ma che tanto ci manca”.

Sono queste le parole di Ivano De Cristoforo, attore e vincitore del titolo “Il più bello d’Italia 2009”, e di Sandro Ravagnani, illustre giornalista e scrittore, contenute nel libro “Cosa farò da grande”, presentato, in prima nazionale, lunedì 6 aprile alle ore 16:45, presso la Sala Biblioteca Comunale di Reggio Calabria, evento organizzato congiuntamente dall’Associazione Culturale Anassilaos, dal Centro Internazionale Scrittori della Calabria e dal Gruppo Cultura Italia, con la collaborazione dell’associazione studentesca G.A.A.I.A. Unirc. L’incontro è stato introdotto da Rosita Loreley Borruto, Presidente del CIS, da Stefano Iorfida, Presidente Anassilaos, e dal dott. Domenico Siclari, che ha promosso l’evento.

“Cosa farò da grande”, opera che sarebbe riduttivo classificare come libro di fotografia nella misura in cui lo sarebbe definirla semplicemente letteraria, trattandosi di un progetto più ampio e completo, nato come un sogno di due amici, che mescola le parole alle immagini, abilmente catturate dall’obiettivo del fotografo Gianluca Faruolo, per donare al lettore-spettatore delle emozioni e suscitare in lui una riflessione profonda sul valore del gioco in una società che è diventata forse troppo conflittuale e troppo “adulta” e che ha smesso di comunicare con i bambini, i quali sono sempre più inclini a parlare da soli, o con i propri giocattoli, o amici immaginari, dal momento che gli adulti non hanno mai tempo per ascoltarli davvero.

Il recupero della centralità che il bambino dovrebbe rivestire in ogni ambito sociale e, quindi, l’instaurazione di una comunicazione autentica tra adulto e bambino, elementi fondamentali per una società migliore, non possono assolutamente prescindere dal recupero stesso del fanciullo che alberga in ognuno di noi e che noi abbiamo dimenticato, anzi seppellito sotto il peso schiacciante di responsabilità, scadenze, impegni, delusioni, disillusioni e sfrenate ambizioni sedimentate da anni.

Ci siamo forse dimenticati dei bambini proprio perché ci siamo dimenticati di essere stati anche noi dei bambini.

Ma come si fa a tornare bambini? Secondo Sandro Ravagnani e Ivano De Cristoforo, questo è possibile solo attraverso la fantasia, il sogno, ciò che Gianluca Faruolo, autore delle fotografie contenute nel libro, chiama “la luce”. E la luce non è solo l’anima, l’essenza, essa è anche fotografia. “Ciò che realizza il mio essere uomo e i miei sogni è la fotografia – afferma Faruolo – , “essere uomini non è essere maschi, ma essere persone con una capacità di rappresentazione. Il sogno è fantasia, ma è anche felicità”.

Secondo Gianluca Faruolo, essere adulti-bambini significa conservare il menefreghismo proprio dei bambini, che vivono nel loro mondo colorato.

Dunque, si può essere uomini eppure sognare. Ne è certo De Cristoforo, il quale afferma: “I ragazzi oggi pensano che il “fisicato” come me rappresenti e incarni soltanto questo: la violenza. Ma non è affatto così, perché quelli come me possono amare anche la fantasia, ma soprattutto possono ammetterlo senza vergognarsene”.

Ed è proprio in questo libro, “Cosa farò da grande”, che la forza e la possenza fisiche vengono per la prima volta abbinate alla morbidezza e all’evanescenza del sogno, in un connubio insolito, che non stride e non stona, bensì si armonizza perfettamente, come il bianco e il nero, in un gioco di equilibri e si materializza nella bellezza, che non è propria solo di un corpo, perché essa viene dall’anima ed è arte.

Cosa farò da grande? E’ questa la domanda fondamentale che gli adulti non si pongono più ma che dovrebbero porsi spesso, poiché essa racchiude due significati importanti: il primo è che siamo tutti eternamente fanciulli, anche quando lo dimenticheremo; il secondo è che dobbiamo reinventarci ogni giorno, senza smettere mai di stupirci del miracolo quotidiano della vita, e non considerarci mai arrivati, per poter continuare a crescere, anzi a migliorarci. E si può crescere solo se si resta bambini, altrimenti si invecchia.

E alla fine anche Sandro Ravagnani, il quale ci svela con l’entusiasmo tipico dei bambini un’anima fanciulla, grande amante di topolino per i sentimenti e i valori che trasmette, primo fra tutti quello del rispetto verso l’altro, risponde al fatidico quesito: “Ecco cosa farò da grande: avrò più rispetto per le persone, le amerò di più, amerò di più i bambini. Io da grande amerò di più la vita”.

E forse tornare bambini è l’unico modo per comunicare con il prossimo in un’epoca in cui la comunicazione è tutto ed è ovunque, ma nella quale – paradossalmente – si è smesso di comunicare. Infine, è forse questo l’unico modo per tornare ad amare davvero.