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Il bergamotto: credere nelle nostre risorse per crescere

ottobre 31, 2009

bergamotto

di Noemi Azzurra Barbuto

Giovedì 5 marzo presso l’auditorium Cipresseto dell’Accademia del Tempo Libero di Reggio Calabria si è tenuta la conferenza “Reggio Calabria e il bergamotto: la storia”. Il prof. Pasquale Amato, docente di storia contemporanea presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Messina e autore del libro “Storia del bergamotto di Reggio Calabria. L’affascinante viaggio del Principe degli agrumi”, pubblicato da Edizioni Città del Sole, ha guidato coloro che hanno preso parte alla conferenza lungo un affascinante percorso storico, in cui si sono intrecciate tra loro storia locale e storia mondiale, per arrivare a una più consapevole conoscenza di questo straordinario agrume che caratterizza la nostra terra, dal momento che la sua coltura si rifiuta di attecchire in altre parti del mondo.

A proposito del suo libro il prof. Amato specifica come non si tratti di un’opera di botanica, piuttosto di un lavoro nato dall’esigenza di abbattere i numerosi luoghi comuni e i pregiudizi che ruotano intorno al bergamotto. Si tratta del libro di uno storico che si è messo al servizio della sua comunità affinché prenda coscienza della sua ricchezza e inizi a sfruttarla.

Le false credenze, a cui si riferisce il prof. Amato, riguardano innanzitutto l’origine del bergamotto. Sembra infatti che per secoli i reggini abbiano cercato di dimostrare che esso non fosse una pianta autoctona, anziché essere orgogliosi di questa peculiarità del tutto nostra. Hanno così trovato facile fioritura e diffusione nel corso dei secoli diverse favole, alcune delle quali facevano provenire il bergamotto dalle Canarie, importato da Cristoforo Colombo, o persino dalla lontana Cina; altre deducevano dalla radice del nome la provenienza dell’agrume dalla città di Bergamo, o dalla cittadina spagnola di Berga, situata vicino a Barcellona.

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È a metà del Settecento che nascono a Reggio le prime piantagioni di bergamotto. Ci siamo trovati ad avere la fortuna di questa pianta molto delicata, molto difficile da coltivare, siamo diventati esperti nel coltivarla, nell’estrarne la preziosa essenza, ingrediente fondamentale di qualsiasi profumo, nel commercializzarla e nel cederla al mondo, ma non siamo mai arrivati alla conclusione del ciclo produttivo attraverso la creazione di un’industria profumiera, che sarebbe stata certamente l’operazione più redditizia. Abbiamo preferito piuttosto vendere l’essenza ai francesi, i quali si sono affermati nel mondo come esperti profumieri.

È nell’Ottocento che abbiamo il boom della produzione, ma le cause per cui non si passò all’ultimo stadio del ciclo produttivo sono molteplici e vanno ricercate soprattutto nell’ambiente generale reggino dal punto di vista pubblico, mancavano inoltre banche di investimento che avrebbero potuto aiutare gli imprenditori concedendo loro un anticipo economico. L’unica possibilità era dunque l’esportazione, cioè la vendita all’estero di un prodotto esclusivo, che portò in effetti facili guadagni agli imprenditori, ma essi non rischiarono, in un certo senso si accontentarono.

Il completamento del ciclo produttivo non ci fu allora e non c’è stato mai. Ci occupiamo ancora di come cedere l’essenza agli altri e non di come sfruttarla per noi.

Prof. Amato, cosa ci è veramente mancato per giungere al completamento del ciclo produttivo? Perché non abbiamo mai fatto questo passo?
“Non lo abbiamo fatto perché forse non abbiamo tanta fiducia in noi stessi, nelle nostre capacità. Dobbiamo diventare esperti del nostro tesoro. Noi invece siamo generosi, preferiamo che siano gli altri a guadagnarci. Purtroppo il nostro rapporto con il bergamotto è un rapporto strano, difficile per certi aspetti, è un matrimonio che non si riesce a fare”.

Lei crede che sia possibile fare oggi ciò che non siamo riusciti a fare in trecento anni di storia?
“Qualcuno che ha preso l’iniziativa c’è, ma il problema è sempre quello dell’insieme. Se ogni volta che qualcuno cerca di fare di più, gli altri cercano di combatterlo e di abbatterlo, allora non si arriverà mai da nessuna parte. Ma c’è sempre la speranza che prima o poi noi possiamo migliorare”.

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