Archive for the ‘Cronaca’ Category

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Noi figli della crisi più nera della storia

novembre 22, 2011

di Noemi Azzurra Barbuto

Da piccoli giocavamo con il crystal ball, collezionavamo le figurine di “L’amore è”, guardavamo in tv Bim Bum Bam, Sailor Moon e Lady Oscar, indossavamo le timberland, e sognavamo il nostro brillante futuro.

Poi siamo cresciuti e abbiamo capito che niente è facile, che tutto richiede impegno e sacrificio. Abbiamo studiato duramente, per costruirci un futuro migliore, contando sul fatto che bastasse questo perché certi problemi non ci toccassero.

Già a scuola ci parlavano di disoccupazione. Ne avevamo sentito parlare insieme alla “Questione meridionale”. Le maestre ed i professori ci dicevano che i giovani andavano via da qui, dal sud, perché qui non c’era lavoro. E noi pensavamo che per noi sarebbe stato tutto diverso. Sì, il problema si sarebbe risolto, si sarebbe estinto con gli anni, e quando adulti ci saremmo inseriti nel contesto lavorativo, sarebbe stato facile, ci sarebbe stato lavoro in abbondanza, non avremmo dovuto scappare via, maledicendo la nostra terra traditrice.

E poi siamo cresciuti. Noi, generazione sfortunata, svantaggiata, osteggiata perché non lavora, noi, con tanta voglia di farlo, con tanta frustazione, con tanta rabbia, noi, indignatos, chiamati “bamboccioni” da chi un lavoro ce l’ha e anche buono. Ci considerano passivi, inermi, privi di fantasia, incapaci di costruirsi una carriera, di inventarsi un lavoro, di fronteggiare la crisi. Ci considerano persino privi di voglia di lavorare.

Ci dicono: “Il lavoro c’è, se uno lo vuole”. E dove? Diteci dove. Così noi andremo a prenderlo, noi a cui non basta più emigrare per un salario, noi figli del precariato, del lavoro nero, dell’instabilità, dell’ “oggi, per fortuna, lavoro; domani non so”. Noi figli della crisi nera, che più nera non si può.

Noi vorremmo andare via dalla casa di mamma e papà, alcuni di noi non ci stanno più bene, altri non ci sono mai stati bene ed ancora, purtroppo, non possono lasciarla, con tutti i problemi che ne conseguono. Noi vorremmo sposarci. Vorremmo costruirci una famiglia. Noi vorremmo vivere da soli. Noi vorremmo arrivare distrutti a fine giornata per il duro lavoro. Noi vorremmo fare la spesa. Noi vorremmo comprarci il pane. Noi vorremmo finalmente diventare adulti, ma stiamo soltanto diventando vecchi. Delusi, disillusi, stanchi.

Noi lottiamo per andare via dalla casa di mamma e papà, alcuni di noi non ci stanno più bene, altri non ci sono stati bene mai, e lottano ancora più forte. Noi lottiamo per sposarci. Noi lottiamo per costruirci una famiglia. Noi lottiamo per poter vivere da soli. Noi lottiamo per arrivare distutti a fine giornata per il duro lavoro. Noi lottiamo per poter fare la spesa. Noi lottiamo per comprarci il pane. Noi lottiamo per diventare finalmente adulti. Noi lottiamo per un posto di lavoro. Ma sembra tutto inutile.

E cosa sarà di noi domani? Ora non guardiamo più al futuro con la certezza che tutto si risolverà, perché tutto è peggiorato, e noi abbiamo imparato la lezione: “Mai illudersi, mai sperare, mai sognare in questo mondo che ha troppo bisogno di fantasia”.

E anche se dalla crisi usciremo, quali prospettive si apriranno per noi che siamo diventati vecchi giovani senza esperienza, senza curriculum, ma con tanto studio sulle spalle? Ci saranno altri giovani che vorranno diventare adulti. Giovani più fortunati di noi.

Non vediamo futuro. Non vediamo spazio per noi nel mondo.

Abbiamo perso tutto. Abbiamo perso la speranza.

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Giuseppe Sorgonà. Si muore anche così a Reggio Calabria

gennaio 8, 2011

di Noemi Azzurra Barbuto

8 Gennaio 2011, uno dei primi giorni di quest’anno che già non si annuncia diverso dagli altri qui, a Reggio Calabria. C’è il sole oggi. Brilla. Il cielo è azzurro, senza macchie. Il sangue non schizza mai fino a lì. Cade a terra. Fa quasi caldo, oggi.

L’avete mai provata voi quella sensazione di leggerezza uscendo di casa la mattina di un giorno di sole in pieno inverno? In più oggi è sabato. Stasera questa città promette tanti divertimenti. E’ vivace Reggio Calabria. Forse non dorme mai. C’è sempre qualcuno che osserva, che sorveglia, che resta nell’ombra, in silenzio, come se sapesse tutto.  E chi sa tutto comanda, decide. Decide anche chi muore, chi vive, chi paga, chi crescerà senza un padre, chi resterà vedova, chi piangerà suo figlio.

E anche stasera il corso Garibaldi sarà gremito di gente che non va da nessuna parte, mentre va avanti e poi indietro dentro questa bolla, illudendosi che il mondo sia tutto qui, tra un bar e una stazione. Qui l’aria a volte è soffocante ed il cielo è troppo lontano. No, il sangue schizza ma non arriva fino a lì. E neanche le lacrime.

Qui si muore. Si cade vittime di una guerra che non è mai iniziata e non è mai finita. Il nemico si mescola, fa parte di noi, è tra noi. E’ una guerra strana questa. Muori, e non sai perché.

Vivono così i reggini. Tranquilli. Con il cuore colmo di paura. Anche oggi. Soprattutto oggi che un ragazzo di 25 anni non potrà uscire di casa con il cuore leggero, non potrà godere di questo sole, perché qualcuno, che non è Dio, ha deciso che doveva morire.

Sì, è ineluttabile la morte. Lo sappiamo tutti. Eppure non si può accettare. Arriva così, su una moto, protetta da un casco. Arriva in centro città. E ti spara.

E se ne frega se c’è gente, se ne frega che è in pieno centro, che c’è un bambino accanto a te, se ne fraga di tutto. E’ spavalda la morte. E più hai paura più lei è spavalda. Ti spara in faccia. Sputa in faccia a tutti, e poi ride. Ammazza e dice: “Qui comando io. Io sono più forte di Dio, dovete saperlo tutti”.

Si muore anche così a Reggio Calabria, come se in questo angolo di Terra non vigesse la giurisdizione di Dio. Zona franca. Si muore per strada. E la rabbia fa bollire il sangue mentre ti chiedi: “Perché oggi c’è il sole se Giuseppe è stato ucciso?”. Il sole non dovrebbe sorgere su questa ingiustizia. E come può un uomo togliere la vita ad un altro uomo e poi dormire, e poi svegliarsi in un giorno di sole in pieno inverno?

E perché Dio lo permette?

Oggi si aprono vecchie ferite e nuove ferite. E fanno troppo male.

Nessuno sente, nessuno vede. Nessuno sa. Il sole splende, illumina giusti ed ingiusti, buoni e cattivi. La vita scorre come sempre, mentre il silenzio si fa più profondo, si allarga e ci inghiottisce tutti. Troppo difficile uscire da questa gabbia, ci si ritrova sempre qui. Pochi ce la fanno. Intanto questo silenzio urla, e piange, perché nessun uomo può morire così.

Si dicono tante cose su questa città. Si dice che Reggio Calabria non è più come una volta. Oggi ci sono tanti locali per i giovani, un bel lungomare curato, i ragazzi non si accoltellano più il sabato sera in discoteca solo per sfogare la noia, è tutto più sicuro, più pulito, più moderno, più evoluto.

Oggi Reggio è città metropolitana, posta al centro del mediterraneo, crocevia di popoli e di culture. Ma, finché la gente avrà paura, finché un uomo potrà morire per strada per mano di un altro uomo, sebbene il sole continuerà a splendere e a riscaldarla, Reggio Calabria non avrà futuro.

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“Il ponte delle bugie”: verso la manifestazione di festa del 19 dicembre

dicembre 17, 2009

di Noemi Azzurra Barbuto

Per sancire la collaborazione e l’adesione alla causa da parte della Provincia di Reggio Calabria e della Regione Calabria nonché il clima pacifico e di festa che caratterizzerà la manifestazione nazionale che si svolgerà il 19 dicembre a Villa San Giovanni, ieri mattina i membri del movimento No Ponte, coordinati da Maurizio Marzolla, si sono riuniti nella sala biblioteca del Palazzo della Provincia.

Un’occasione anche per esaminare in modo dettagliato l’impatto finanziario del ponte attraverso l’analisi, dal titolo “Il ponte delle bugie”, elaborata da Guido Signorino, docente dell’Università di Messina, che si è dedicato allo studio dell’opera dal punto di vista economico, sposando «una posizione assolutamente contraria indipendentemente da una considerazione di tipo ambientale».

«Bugie», con questa parola Signorino ha indicato «le inesattezze sulla quali si regge il ponte»: tempi di costruzione previsti, posti di lavoro garantiti, data di inizio dei lavori. Prima bugia tra tutte quella che riguarda il rischio idrogeologico dell’area su cui dovrebbero poggiare i pilastri, che, secondo il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, non sussisterebbe. L’economista ha mostrato invece che i siti scelti sono discariche localizzate in aree urbanizzate, situate in vallate con funzioni di impluvio che presentano gravi rischi idrogeologici.

Un altro dei miti da sfatare circa la faraonica infrastruttura consiste nell’affermazione che sia finanziata in modo privato.

Secondo Signorino, il progetto del ponte, basato su ipotesi di crescita irrealistiche per l’economia del Mezzogiorno, è caratterizzato da benefici sovrastimati e costi sottostimati.

In quest’ottica, la struttura più che un ponte sullo stretto sembra un buco nell’acqua, destinato a trasformarsi in una delle tante opere grandiose eppure inutili iniziate e mai finite nella nostra regione.

Ne sono convinti Santo Giuffrè, assessore provinciale, e Omar Minniti, consigliere provinciale, che hanno ribadito l’esigenza di puntare su altri tipi di interventi al fine di favorire lo sviluppo, quali bonifica e salvaguardia dei territori, potenziamento della rete ferroviaria, costruzione di strade trasversali, che costituiscono, come ha sottolineato Giuffrè, «fattori strategici di sviluppo del territorio per fare uscire dall’isolamento numerosi comuni ricchi di potenzialità».

“Un solo no e tanti sì”. È questo lo slogan della manifestazione del 19 dicembre, che Minniti ha definito «corale e di popolo». Sì soprattutto ad «un’idea di sviluppo – ha specificato il consigliere – alternativa ad un modello imposto dall’alto e che non tiene conto delle specificità del territorio».

«Una folta schiera di celebri artisti ha già aderito alla manifestazione – ha affermato Gianmarco Cantafio, del movimento No Ponte – un modo per portare avanti le nostre rimostranze in modo più toccante e più penetrante».

 

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Un pericolo che tutti corriamo: non essere soccorsi

novembre 24, 2009

di Noemi Azzurra Barbuto

Reggio Calabria – Accasciato per strada, con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata in cerca di aria, così si è presentato Daphai Mohammed, marocchino di 53 anni, al personale della Croce Rossa che ieri sera, lunedì 23 novembre, dopo 45 minuti di inutile attesa dell’autoambulanza del 118, lo ha soccorso nei pressi del museo nazionale della Magna Grecia, precisamente all’angolo tra via Demetrio Tripepi e via Domenico Romeo.

Ad allertare i sanitari sono stati i vigili della polizia municipale, ai quali Mohammed con estremo sforzo ha consegnato un referto medico (rilasciato dall’Azienda Ospedaliera Piemonte di Messina) che evidenziava gravi problemi respiratori.

Vedendo che lo stato dell’extra-comunitario peggiorava ed i soccorritori non giungevano, i vigili hanno richiesto senza successo l’intervento di un’ambulanza privata per il trasporto del malato in ospedale, infine, l’arrivo dei volontari della Croce Rossa, ritardato peraltro da un errore nella comunicazione del luogo in cui si trovava Mohammed (via Roma invece di via Romeo).

Insomma, numerosi “incidenti di percorso” che hanno tenuto con il fiato sospeso non solo Mohammed, che aveva ormai raggiunto uno stato di incoscienza a causa della mancanza di ossigeno, ma anche coloro che gli stavano intorno impotenti e sconcertati dalla lentezza del servizio di pronto intervento.

Ma il calvario del marocchino non si è concluso una volta raggiunto il pronto soccorso degli Ospedali Riuniti. Infatti, Mohammed ha dovuto nuovamente aspettare di essere visitato.

Un’attesa che avrebbe potuto facilmente essere fatale in altre circostanze e che deve preoccupare tutti quanti, dato che ieri è successo a Mohammed, oggi potrebbe accadere a chiunque di noi di avere bisogno di un’autoambulanza, che dovrebbe garantire sempre tempestività per non perdere la sua funzione.

In ospedale il malessere di Mohammed, nonostante fosse attestato il suo problema polmonare, non è stato preso sul serio. Si è parlato di lui come di “un attore, abituato a fare certe scene”.

Ma che sia vero o no il fatto che quest’uomo non respirasse, questo episodio ha messo in luce un problema che noi tutti conosciamo ma che nessuno ancora ha risolto: l’insufficienza dei mezzi di soccorso.

Deve forse morire qualcuno perché si faccia qualcosa di concreto per risolvere una situazione ancora più vergognosa ed inaccettabile in una città adesso “metropolitana”?

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“Se hai buon cuore”, devolvi!

novembre 9, 2009

di Noemi Azzurra Barbuto

big_441467338_505d405ba8_bPassati i tempi dei lavavetri, si sta diffondendo una nuova pratica presso alcuni semafori della nostra città. Si tratta di un nuovo metodo per chiedere offerte in denaro ai conducenti della autovetture incolonnate ed in attesa che scatti il verde. Ancora una volta i bambini vengono strumentalizzati per nutrire le tasche di soggetti privi di umanità che li sfruttano senza nessuno scrupolo. In questo caso, non troverete nessun bambino aggirarsi tra i gas nocivi dei motori, ma persone adulte, probabilmente provenienti dai paesi dell’Est europeo, distribuire volantini colorati, scritti in perfetto italiano, in cui appare l’immagine di una bambina triste. Ecco cosa si legge testualmente su tali foglietti: “Daniela ha la leucemia. Ha appena 4 anni ed ha bisogno di un trattamento molto costoso per guarire dalla sua malattia. LEUCEMIA. Se hai un cuore buono per favore aiutaci con quanto puoi! Grazie tante, che Dio ti benedica. PER FAVORE RENDIMI IL FOGLIO”.

Chi ci sia dietro questa speculazione non possiamo saperlo, ma appare indubbio che di speculazione illecita si tratti.

Stupisce, inoltre, l’ultima frase: “Per favore rendimi il foglio”. Infatti, una volta distribuiti i volantini da parte di queste persone, che sono pure munite di un rudimentale cartellino attaccato sul petto, a tutti gli automobilisti, questi “volontari umanitari” tornano indietro per recuperare questi stessi foglietti insieme alle offerte. Che sia per evitare la divulgazione e lasciare circoscritta in quel contesto la circostanza illecita? Succede così che all’automobilista, che ancora non ha avuto modo di realizzare il tutto, viene chiesto nuovamente di abbassare il vetro per restituire velocemente il volantino, prima che scatti il verde e riparta. “Se ha buon cuore”, egli lo farà. E “che Dio lo benedica”.

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A scuola per imparare il valore della cittadinanza

ottobre 28, 2009

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di Noemi Azzurra Barbuto

“Per educare un bambino ci vuole un villaggio”, è il proverbio africano che Maristella Spezzano, dirigente scolastico, ha ricordato a tutti questa mattina, mercoledì 28 ottobre, presso la scuola elementare “Collodi” di Reggio Calabria, in occasione della Giornata della Legalità “Noi con voi, voi con noi”. Accanto a lei, in rappresentanza dei membri di quell’ipotetico villaggio entro il quale dovrebbe essere costruita l’educazione dei bambini e che non è altro che la società stessa, Luciano Gerardis, presidente del Tribunale di Reggio Calabria, il parroco don Bruno Cipro, Nino De Gaetano, presidente della commissione regionale antimafia, Antonio Eroi, presidente V Circoscrizione, Andrea Levi, comandante della Stazione dei carabinieri di Reggio-Modena, Alfredo Priolo, comandante della Polizia municipale di Reggio Calabria, e il tenente Ciliberto, della Guardia di Finanza. Numerosa, inoltre, la presenza dei docenti e dei bambini delle classi di quarta e quinta elementare dell’istituto, che hanno seguito la conferenza con grande interesse.

“Un’occasione di riflessione, di sensibilizzazione e di ringraziamento – l’ha definita la Spezzano – nei confronti di coloro che ogni giorno lavorano nel campo della legalità”. Un’occasione anche per lanciare nuove iniziative di collaborazione tra la scuola e le altre istituzioni che insieme concorrono alla formazione dei ragazzi, arrivando alla stipulazione di un protocollo di intesa che abbia come obiettivi fondamentali lo sviluppo del senso di legalità e la creazione di un’etica della responsabilità nei giovani. E’ questo il proposito della dirigente scolastica, che ritiene che “la scuola non può arrogarsi il diritto di fare da sola”.

Pensiero condiviso anche dagli altri partecipanti alla conferenza, ognuno dei quali ha affrontato nel suo intervento un tema diverso. Don Bruno ha spiegato ai ragazzi che la tendenza che abbiamo tutti a disinteressarci di ciò che non ci tocca direttamente è qualcosa che fa male non solo alla società ma anche a noi stessi. Dello stesso avviso è il tenente Ciliberto, che ha affermato: “Rispettando le regole rispettiamo noi stessi e quelli che ci stanno vicino”. Eroi ha parlato della Costituzione, spiegando ai ragazzi le sue origini e il fatto che non si tratti di un meccanismo automatico, o di un’imposizione repressiva, bensì di un dono dei nostri padri da attuare ogni giorno. E’ sull’articolo 3 della Costituzione, che proclama il principio di eguaglianza, che si è soffermato il presidente Gerardis, dichiarando che quei valori che a noi sembrano scontati ed inamovibili devono essere difesi quotidianamente, perché sussiste sempre il rischio che certi pregiudizi, che mortificano la dignità umana, tornino in auge. Il comandante Levi ha spiegato ai bambini che i carabinieri non sono “i cattivi”, ma “quelli che, mentre dormite, vegliano sui vostri sogni e si impegnano nel loro lavoro per la vostra felicità”. Priolo, invece, dopo aver mostrato alcune immagini della nostra città, ha cercato di fare comprendere ai ragazzi che Reggio Calabria, negli ultimi anni, è stata protagonista di cambiamenti importanti, che però non sono andati di pari passo con un miglioramento anche di certi comportamenti ed abitudini sbagliate da parte dei cittadini, che influiscono negativamente sulla qualità della vita. Priolo ha fatto appello ai bambini affinché siano loro ad insegnare e a pretendere il rispetto delle regole. Invece, per fare capire ai ragazzi cosa effettivamente rappresenti la criminalità, De Gaetano ha usato una metafora incisiva: “la criminalità è come una persona che, mentre state giocando, irrompe nel campo e con violenza vi sottrae la palla, impedendovi di continuare. Allo stesso modo, la criminalità ci impedisce di essere una società migliore”.

La festa della legalità non è stato un modo per eludere le lunghe ore in classe, ma un modo diverso di fare lezione. Qualcosa di importante è stato trasmesso oggi ai bambini: non ci può essere felicità senza rispetto delle regole. Speriamo che loro siano migliori di noi. Più felici.

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I cittadini di Feroleto protestano contro la chiusura dell’unico ufficio postale

ottobre 16, 2009

di Noemi Azzurra Barbuto

protesta-feroletoQuesta mattina, davanti all’ufficio centrale delle Poste Italiane di Reggio Calabria, in via Miraglia, i cittadini di Feroleto della Chiesa, hanno manifestato contro la chiusura dell’unico ufficio postale presente nella loro frazione, Plaesano della Chiesa.  Alla manifestazione hanno aderito il sindaco di Feroleto, Giuseppe Mileto; l’assessore al bilancio e i coordinatori dell’Unione dei consumatori della frazione. A sostenerli in questa battaglia anche il consigliere regionale  Giovanni Nucera, il quale ritiene che i cittadini di Feroleto abbiano ottimi motivi per protestare.
«Non è possibile – ha affermato Nucera – che i piccoli paesi vengano penalizzati da una visione della politica che riconduce tutto ad un’idea di profitto e ad una visione imprenditoriale dello Stato».
La chiusura dell’ufficio postale è un problema che si aggiunge ad altre difficoltà che i cittadini di questa piccola, ma non per questo meno importante, frazione si trovano a dovere fronteggiare da tempo a causa dei tagli e della conseguente inattività di alcuni servizi pubblici. Lo sportello in questione, fino a cinque mesi fa, funzionava a giorni alterni, successivamente il numero delle aperture è stato ridotto a tre giorni al mese, non riuscendo spesso a smaltire tutto il lavoro accumulato a causa delle lunghe code che, dopo quasi un mese di chiusura, inevitabilmente si formavano. Da ultimo, la misura drastica della chiusura.
«Una situazione di estremo disagio – ha commentato Mileto – per la cittadinanza del paese, soprattutto per le persone più anziane, che non hanno i mezzi né la possibilità, al fine di svolgere normali operazioni, come il ritiro della pensione,  di recarsi in altri uffici postali, il più vicino dei quali si trova a due chilometri di distanza ed è dotato di un solo sportello, insufficiente per rispondere alla domanda di tutti».
La causa di questa decisione è stata individuata nella mancanza di profitti. «Non stupisce – ha dichiarato l’assessore al bilancio di Feroleto – che non ci fossero dei profitti esorbitanti considerando che l’ufficio non era aperto giornalmente».
A soffrire di questo disagio saranno soprattutto i disabili, gli invalidi, le persone malate, gli anziani, che numerosi hanno preso parte alla manifestazione, affrontando, come ha tenuto a precisare il coordinatore dell’Unione consumatori di Feroleto, Umberto Alì, il viaggio faticoso fino a Reggio Calabria, solo per fare sentire uniti la loro voce, chiedendo la riapertura dell’Ufficio postale.