
Il No Profit: da terzo settore a settore comprimario
giugno 22, 2010di Noemi Azzurra Barbuto
Imprese più umane, che non mirano alla massimizzazione del profitto, bensì ad offrire un servizio alla collettività. Sono le organizzazioni no profit, facenti parte di quel terzo settore al quale Domenico Marino e Carmelo Migliardo hanno dedicato un libro, “Politica economica del no profit”, edito da Aracne editrice e presentato ieri mattina nella sala biblioteca del Palazzo della Provincia di Reggio Calabria.
Strada alternativa a quelle del mercato e dello Stato, il settore no profit ha assunto negli ultimi trent’anni un’importanza strategica nell’ambito dell’economia mondiale, soprattutto a causa della crisi dello Stato sociale, alle cui deficienze ha cercato di sopperire, riuscendoci con successo.
Obiettivo del volume è, come ha spiegato uno dei suoi autori, Migliardo, «divulgare il modello della produzione attraverso il no profit», che può «favorire la crescita locale del Mezzogiorno», dove ogni progetto di sviluppo è clamorosamente fallito.
Insomma, lì dove lo Stato non è riuscito, queste organizzazioni possono porre le basi per un corso nuovo.
Tuttavia, esistono degli ostacoli che impediscono l’affermazione del terzo settore nelle regioni meridionali. Primo tra tutti la criminalità organizzata.
Ecco perché, secondo gli autori, per uno sviluppo effettivo è necessaria «una trasformazione sociale», ossia un cambiamento di mentalità.
Il lavoro dei volontari, i minori intoppi burocratici, i minori costi di transazione, la mancata ricerca di un guadagno esorbitante. Sono questi gli elementi vincenti del terzo settore, per i quali, ha affermato il docente Antonino Gatto, il no profit dovrebbe essere considerato ed essere «settore comprimario, promotore della fioritura di un’economia civile». “Civile” in quanto fondata sul «principio regolatore della reciprocità».
Non si tratta di un obiettivo impossibile, secondo gli economisti presenti ieri alla conferenza, dal momento che, come ha sottolineato Gatto, «gli stessi valori che reggono la società possono reggere anche il mercato».
interessante, però, alla fine non sono affatto d’accordo su «gli stessi valori che reggono la società possono reggere anche il mercato». E’ utopia pensare a qualcosa del genere, che piaccia o no, il sistema capitalistico globalizzato è incentrato sulla logica del profitto, non credo affatto ai “buoni samaritani” della finanza o ad un’etica del mercato. Balle, buone in tempi di crisi per proporre qualcosa di alternativo ad un sistema che ha fallito, però, è attualmente con tutte le pecche che si vuole, l’unico modello a breve periodo attuabile. un ragionamento di finanza etica e cose del genere, possono intravedersi solo come esperimenti in micro-società, come appunto l’esperienza del no-profit, dove la supplenza alle carenze di servizi statali è in aree circoscritte e minime.
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